Vorrei sottoporre alla vostra attenzione, e con ciò stimolare una riflessione, un argomento che pareva ben oltre i limiti del ragionevole solo pochi anni fa, regno assoluto della fantascienza più estrema: l’ Ultramondo onirico, vedi “Salto nell’Ultramondo” Giunti ed. di Bruno Tognolini, o “Le Cronache di Ambra” di Roger Zelazny, cominciando da un remoto “Sidewise in Time” del 1934 a opera di Murray Leinster, fino ai ben più noti Philip Dick con “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” – 1964, Stanilslaw Lem con “Memorie di un viaggiatore spaziale” – 1971, Isaac Asimov con “Neanche gli dei” – 1972, Carl Sagan “Contact” – 1985, Philip Pullman con “Queste oscure materie” – 1996/2000, e via dicendo (ne ho omessi davvero tanti e assai noti).
Mi riferisco alla struttura della Realtà(1) e alle recenti intuizioni conseguenti all’applicazione della matematica nell’analisi delle strutture cerebrali (2). La quantità di materiale disponibile per farsi un’idea sul’argomento è tale da scoraggiare anche il più tenace dei nerd. Quindi ne tenterò una veloce disamina, affidando l’eventuale e raccomandato approfondimento alla consultazione dei vari titoli che sono presenti in questo mio scritto, sebbene mi renda conto che sia quasi il lavoro di una vita (ma una vita su un numero infinito di vite potrebbe non essere gran cosa! Attenzione: spoiler!). Partiamo dal cuore del problema: ciò che vediamo, l’esperienza che viviamo, il nostro “mondo” non è “vero”, non è quel che crediamo, non è quel che appare essere. Al più è l’ombra (dell’ombra) di ciò che è.
La prima intuizione nota al riguardo la si deve a Platone (il mito della caverna). Per lunghissimo tempo fu considerata questione attinente alla filosofia, quindi metafora della vita umana e degli inganni della ragione.
Ma la ragione ha in serbo una sorpresa per tutti noi e la annuncia con la bizzarra passione, apparentemente del tutto infondata e fantastica, per i “mondi alternativi” che le recenti scoperte della fisica (da Maxwell a Lorentz ad Einstein e da loro e Plank, via via, attraverso Heisenberg e Schrödinger, fino Gross, Wilczeck, Higgs, Goldstone… e mille altri) hanno dotato di credibilità scientifica (che non vuol dire ancora “prova oggettiva”) e aspettativa mediatica (che per qualcuno, però, è già “verità”).
Il clima quietamente newtoniano del XIX secolo si fa infatti turbolento e, infine, tempestoso con le ultime “rivelazioni”: le dimensioni dello spazio, già discusse da Einstein e Rosen, per evidenze matematiche e necessità di coerenza della fisica, si moltiplicano e dalle tre in cui siamo beatamente cresciuti nei millenni, arrivano alla incredibile stima di undici.
Nulla di grave, per noi mortali, fino a che si tratta di speculazioni e cervellotiche elucubrazioni di pochi geni nei loro laboratori, ma quando si insinua che sia facoltà comune quella di averne esperienza, qualche sopracciglio si alza! Come avere esperienza di qualcosa di cui mai si è neppure ipotizzata l’esistenza e, ancor oggi, non si comprende affatto la natura? Sembrerebbe una obiezione ragionevole. Tuttavia, chi avesse avuto, suo malgrado, esperienza dei raggi gamma, giusto per fare un esempio, e fosse sopravvissuto (Hiroshima e Nagasaki, tanto per dire), avrebbe pure qualcosa da obiettare alla apparentemente “ragionevole obiezione”: il primo ad osservarli fu Paul Villard, chimico e fisico francese, nel 1900, mentre studiava la radiazione emessa dal radio e che mai poteva saperne, poco più di quarant’anni dopo, il contadino giapponese che pure ne sperimentò l’effetto sulla propria pelle?
L’illusione di sapere è il vero inganno. Illusione che, comunemente, non viene fugata neppure dalla consapevolezza di avere notizia (e superficiale conoscenza) di non più del 10% dell’esistente (ad essere ottimisti), come se il restante 90 per cento (e più) di universo fosse cosa trascurabile e insufficiente a modificare i nostri consolidati paradigmi.
Dunque, oggi viene “dimostrata” (ma prendiamo la notizia con il beneficio del dubbio: il modello analizzato giustifica l’ipotesi, cosa non da poco, ma l’osservazione del fatto, il dato empirico, l’esperienza diretta e ripetibile è ancora tutt’altra cosa!) non solo l’esistenza di undici dimensioni spaziali ma addirittura la tesi che la nostra struttura mentale si sviluppa su di esse: se ho ben capito, la struttura fisica tridimensionale del cervello è in grado di supportare una elaborazione (olografica?) multidimensionale della mente, col sospetto di formazioni “fisiche” (ponti di Einstein-Rosen?) in grado di connetterla con… cosa?
Va bene, più prudentemente si parla del modo in cui una porzione di tessuto cerebrale virtuale organizza un gruppo di neuroni che si attivano. Ogni singolo neurone che andrà a comporre la struttura neurale genera un preciso oggetto geometrico. Più neuroni si raggruppano tra loro, maggiori saranno le dimensioni della struttura generata. Questo ha spiegato Henry Markram, della Epfl di Losanna in Svizzera:
Abbiamo scoperto un mondo che non avremmo mai immaginato. Ci sono decine di milioni di questi oggetti anche in un piccolo puntino di cervello, con strutture geometriche fino a 7 dimensioni. In alcune reti, abbiamo trovato strutture che raggiungono le 11 dimensioni (3)
Orbene, se avessimo necessità dell’evidenza e dell’esperienza diretta per analizzare la realtà e tentare di comprenderla, saremmo ancora nelle caverne! D’altro canto, proprio i modelli suggeriti autorizzano a speculare sulle ancora parziali informazioni e a ipotizzare correlazioni con altre teorie, fino a “dipingere” uno scenario in grado di includere e prevedere assai di più dei “semplici meccanismi con cui il cervello elabora i dati“, fino ad arrivare, chissà, al “senso della vita“. Siamo già in alto mare, mi rendo conto, ma proviamo ad aggiungere ancora un elemento a questa storia.
Una veloce ricerca su Google dell’espressione “universo + olografico” ci rimanda a circa 59100 voci, per lo più effimeri articoli giornalistici, che testimoniano, però, dell’interesse “popolare” per l’argomento, ma anche, per fortuna, a più corpose e argomentate relazioni. Così è facile leggere:
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L’Universo come ologramma: la teoria cosmologica è compatibile con i dati sperimentali (4)
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Studio: il nostro Universo potrebbe essere un gigantesco ologramma …(5)
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Universo olografico – L’Universo è un’illusione? (6)
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Principio olografico — Wikipedia (7)
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L’universo è un grande ologramma, nuove conferme – La Stampa (8)
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Ci sono sempre più prove che l’universo sia un ologramma gigante … (9)
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“L’universo potrebbe essere solo un gigantesco e sofisticato ologramma …” (10)
Estrapolando il concetto di base da un articolo di divulgazione (per farla semplice, ma continuo a raccomandarvi un personale approfondimento): “…spiega Claudio Corianò, ricercatore dell’INFN e professore di fisica teorica dell’Università del Salento, che ha partecipato alla ricerca insieme ai colleghi Niayesh Afshordi, Luigi Delle Rose, Elizabeth Gould e Kostas Skenderis.
L’idea alla base della teoria olografica dell’universo … è che tutte le informazioni che costituiscono la ‘realtà’ a tre dimensioni – più il tempo – siano contenute entro i confini di una realtà con una dimensione in meno
Si può immaginare che tutto ciò che si vede, si sente e si ascolta in 3D – e la percezione del tempo – sia emanazione di un campo piatto bidimensionale, cioè che la terza dimensione sia ‘emergente’, se paragonata alle altre due dimensioni…”(11)(12). Prosegue, altrove (9), Daniel Grumiller:
…Se vent’anni fa avessi chiesto a qualunque fisico quante fossero le dimensioni del mondo, ti avrebbe risposto “tre dimensioni spaziali più il tempo…”
Il principio olografico è stato postulato per la prima volta(13) più di 20 anni fa come una possibile soluzione al famoso paradosso dell’informazione del buco nero di Stephen Hawking. Il quale sostiene, essenzialmente, che i buchi neri sembrano inghiottire informazioni, cosa impossibile secondo la teoria dei quanti.
Ma se il principio non è mai stato formalizzato matematicamente per i buchi neri, il fisico teorico Juan Maldacena ha dimostrato(14) diversi anni fa che l’ipotesi olografica reggeva per un tipo di spazio teoretico chiamato spazio anti de Sitter. A differenza dello spazio del nostro universo, che su scala cosmica è relativamente piatto, lo spazio anti de Sitter ha una curvatura interna che ricorda una sella.
Lo spazio anti de Sitter non è direttamente rilevante per il nostro universo, ma ci permette di effettuare calcoli che altrimenti sarebbero complicatissimi, se non impossibili.
All’interno di questo spazio teoretico, Maldacena ha mostrato che due set di equazioni fisiche si sovrapponevano perfettamente: le equazioni della teoria gravitazionale e quella della teoria quantistica dei campi. Questa corrispondenza era totalmente inaspettata, perché mentre la gravità è descritta in tre dimensioni spaziali, la teoria quantistica dei campi ne richiede soltanto due. Il fatto che le leggi della fisica producessero risultati identici a due o tre dimensioni indicava la natura olografica dello spazio anti de Sitter. … Per dimostrare che è effettivamente possibile vedere il nostro universo come un ologramma, è necessario calcolare le grandezze fisiche usando sia la teoria quantistica dei campi che quella della gravità in uno spazio “piatto,” e ottenere risultati corrispondenti. Grumiller ha deciso di provare a replicare una qualità fondamentale della
meccanica quantistica — l’entanglement quantistico — usando la teoria della gravità. Quando due particelle quantistiche sono legate dall’entanglement, non possono essere descritte individualmente, ma formano un solo “oggetto” quantistico, pur essendo distanti tra loro. Esiste un modo per quantificare l’entanglement di un sistema quantistico, conosciuto come “entropia dell’entanglement“
Dopo molti anni di ricerche, Grumiller e i suoi colleghi sono riusciti a dimostrare che questa entropia ha esattamente lo stesso valore se calcolata sia con la teoria gravitazionale che con la teoria quantistica dei campi, per quanto riguarda spazi simili al nostro universo.
Questo calcolo conferma le nostre supposizioni sul fatto che il principio dell’ologramma possa realizzarsi anche in spazi piatti – ha detto Riegler in un comunicato stampa(15) – Prova la validità del principio di corrispondenza nel nostro universo.
L’ha ribloggato su Gattaiolae ha commentato:
Non potevo mancare >^^<
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