Si riaccende la guerra dei motori

effetto Hall propulsione a ioni plasma spazio profondo

La data del lancio della prima missione con equipaggio verso Marte si avvicina, e la concorrenza tra i progetti di un nuovo motore per lo spazio profondo si fa sempre più serrata. Ce ne siamo occupati fin dall’inizio delle nostre  pubblicazioni, e non potevamo proprio farci scappare l’occasione di informare i lettori sui successi di un prototipo di motore elettrico basato sull’effetto Hall, le cui prestazioni hanno impressionato i ricercatori. In realtà c’è molto di più, ce ne occuperemo in un prossimo articolo. (RF)

Un propulsore in fase di sviluppo presso la NASA, destinato a future missioni su Marte, ha infranto diversi record durante i suoi recenti test, come affermano i membri del team di progetto, suggerendo che questa tecnologia sia la strada giusta per portare un equipaggio sul Pianeta Rosso entro i prossimi 20 anni. Il propulsore X3, che è stato progettato dai ricercatori dell’Università del Michigan in cooperazione con la NASA e la U.S. Air Force, si basa sull’ effetto Hall che spinge il veicolo spaziale tramite l’accelerazione di un fascio di atomi di Xeno caricati elettricamente, chiamati ioni, fino alla condizione di plasma. Nella recente dimostrazione condotta al Glenn Research Center della NASA in Ohio, l’X3 ha battuto i record per la produzione di potenza e  di spinta mai raggiunti fino ad oggi da un motore Hall, secondo il gruppo di ricerca dell’Università del Michigan e i rappresentanti della NASA.

Abbiamo dimostrato che l’X3 può operare a oltre 100 kW di potenza – ha detto il capo progetto e decano di ingegneria dell’Università del Michigan, Alec Gallimore –  in un ampio intervallo tra i 5 kW e i 120 kW, con correnti elettriche fino a 260 Ampere. Può inoltre generare 5,4 Newton di spinta, che è tra i più alti livelli mai raggiunti da qualsiasi propulsore elettrico fino a oggi – ha aggiunto Gallimore (il precedente record era di 3,3 Newton).

In questo blog abbiamo già parlato, ma vale la pena di ripetere, dei propulsori a effetto Hall, e altri tipi di motori a ioni, che utilizzano l’elettricità, solitamente generata da pannelli solari, per produrre  ed espellere fuori dall’ugello il plasma, generando di conseguenza una spinta, allo stato dell’arte ancora lieve, ma continua nel tempo. Secondo la NASA con questa tecnica si potranno raggiungere,  nel corso di lunghi viaggi nello spazio profondo, in assenza di gravità e di attrito atmosferico, e a costi  definiti “residuali”, velocità molto più elevate rispetto a quelle dei costosissimi razzi a propellente chimico oggi in uso. Ecco perché i ricercatori sono così interessati alle potenziali applicazioni dei propulsori a ioni, come i viaggi spaziali su lunghe distanze. 

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E’ l’impasse fondamentale che segna l’Astronautica fin dalle sue origini:  abbiamo sviluppato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale una sofisticata e complessa (e terribilmente costosa) tecnologia basata su motori a propellente chimico, che ci ha permesso di raggiungere tutti i traguardi che ci siamo posti fino a oggi. Ma qui ci siamo fermati. Il passo successivo, cioè  l’esplorazione approfondita e l’industrializzazione del  Sistema Solare, richiede un radicale  cambio di  paradigma.  Da una parte occorre trovare il modo di abbattere i costi della messa in orbita di materiali, uomini e navi,  ancora, e chissà per quanto tempo, affidata a vettori a propellente chimico . Dall’altra bisogna sviluppare un sistema di propulsione completamente nuovo, adatto alla navigazione nello  spazio profondo.

Oggi i sistemi a propulsione chimica possono generare milioni di kilowatt di potenza, mentre gli attuali sistemi elettrici possono raggiungere solamente 3 o 4 kilowatt – dice Gallimore. 

E aggiunge che  di sicuro i propulsori a effetto Hall attualmente in produzione non sono ancora abbastanza potenti da portare un veicolo spaziale con equipaggio umano fino a Marte. Infatti  quello di cui abbiamo bisogno per l’esplorazione umana è un propulsore che possa sviluppare  qualcosa come 20, 30 o anche 40 volte la potenza di un propulsore elettrico “convenzionale.”

 

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Qui è dove entra in gioco l’X3. Gallimore e la sua squadra pensano di risolvere il problema della potenza con la costruzione di propulsori più grandi, grazie a un progetto che mira a risolvere le attuali lacune della tecnologia basata sull’effetto Hall. 

Abbiamo capito che invece di avere un solo canale dove il plasma generato viene espulso dal propulsore producendo la spinta, potremmo avere molteplici canali nello stesso propulsore – dice Gallimore – Noi li chiamiamo canali nidificati.

Secondo Gallimore, usare tre canali ha consentito agli ingegneri di rendere l’X3 molto più piccolo e compatto di quanto sarebbe stato un equivalente propulsore a effetto Hall con un singolo canale. La squadra dell’Università del Michigan sta lavorando su questa tecnologia in collaborazione con l’Air Force fin dal 2009, e i ricercatori hanno sviluppato un propulsore a due canali, l’X2, prima di orientarsi verso il più potente X3. Nel febbraio del 2016, la squadra  ha iniziato a sviluppare un nuovo sistema di propulsione elettrica, chiamato XR-100 per il partenariato con il Next Space Technologies for Exploration della NASA, o programma NextSTEP. Il propulsore X3 è un componente cruciale per il sistema XR-100. 

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Scott Hall, uno studente dottorato all’Università del Michigan che negli ultimi 5 anni ha lavorato al progetto dell’X3, dice che il lavoro è stato piuttosto impegnativo a causa delle dimensioni del propulsore.

Pesa 227 chilogrammi e ha quasi un metro di diametro – dice Hall – Per spostare l’X3 abbiamo bisogno di una gru.

Il prossimo anno, la squadra effettuerà un nuovo importante test, per dimostrare che il propulsore potrà operare a piena potenza per 100 ore. Gallimore ha detto che gli ingegneri stanno progettando anche uno speciale sistema di contenimento magnetico che terrà il plasma lontano dalle pareti del propulsore per prevenire danni e renderlo in grado di essere utilizzato in piena sicurezza anche per lunghi periodi di tempo. Probabilmente senza la protezione, la versione operativa dell’X3 potrebbe iniziare a manifestare problemi dopo solo qualche centinaia di ore di lavoro. Una versione con contenimento magnetico potrebbe invece operare a piena potenza per diversi anni, secondo Gallimore.

Traduzione di CARLO ALBERTO RASONI

Editing di ROBERTO FLAIBANI

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